martedì 4 febbraio 2014

La gioconda _ monologo informale di dubbia morale


Da quando sono qui, le giornate iniziano tutte allo stesso modo.
Si accendono le luci, si aprono le porte e inizia lo show.
Davanti a me il solito grappolo di uomini curiosi, a volte delusi, alcuni ispirati.
Molti sono lì, imbambolati: cercano la sublimazione con lo stesso accanimento di una donna frigida alla ricerca dell'orgasmo. Alcuni si illudono di entrare in connessione con il mio più profondo mistero. Mistero che francamente non saprei svelare.
Cercano affannosi un significato sfuggevole, mistificato.
Accalcati mi osservano per ore. Spero che non notino i miei punti neri.
Ah, quando c'eri tu non avevo di questi problemi, mi ritoccavi in continuazione, con una tale maestria che i chirurghi estetici di oggi, se la sognano.
Io sono un gabbiano, no, scusate sono la Gioconda, sì ma cosa c'entra?
Di cosa stavamo parlando? Ah già della noia.
Che tu sia maledetto mio tenero amante, mi hai costretta in uno spazio angusto per l'eternità.
Ricordi? Un tempo non mi concedevi a nessuno, eravamo sempre insieme, mi trascinavi di viaggio in viaggio come il più prezioso dei tuoi effetti personali. Io ero il tuo santino e tu il mio devoto.
Sembra trascorso solo un giorno dal nostro primo incontro.
Che anni magici quelli del rinascimento! Non esistevano macchine fotografiche e quel costolone di mio marito, Francesco di Barlomeo, ci lasciava soli per ore ed ore affinchè completassi il mio ritratto... sì certo, il ritratto.
A distanza di secoli sono ancora qui, intrappolata in quel fulgido momento; ma la mia mente vola a quel giorno ... e chi se lo scorda più!
Mi prendesti con veemenza maschia sotto al Ponte Buriano, a proposito, mi hanno riferito che quel ponte ora è frequentato dai tossici di borgata, ai tempi nostri invece era tutta un'altra cosa.
Era un luogo d'élite per personcine ammodo come noi.
Da manzo maremmano che eri, mi sbatacchiasti tutta, ricordo che ritornammo allo studiolo come due selvaggi , tu prendesti il pennello rapito da una folgorante esaltazione e subito ritraesti la mia espressione da babbiona, gaudente e appagata, peccato che all'epoca non ci fossero le sigarette, in quel momento ne avrei fumata volentieri una.
Che noia, ad oggi non mi restano che fosche rimembranze.
Che tu sia maledetto mio tenero amante, ma non potevi ritrarmi in una posizione più comoda?
Oggi mi ha chiamata la Maja, quella desnuda, dice che sta tutto il tempo a grattarsi, quanto la invidio! Mica come me che ho le braccia tutte anchilosate e sto seduta come se avessi un palo su per la schiena. Il mio psicanalista invece dice che soffro di disturbo paranoide ossessivo, dice che la devo smettere di sentirmi osservata e giudicata, dice che la mia condizione è assolutamente normale che devo stare tranquilla perché sono un quadro famoso e i quadri non possono avere psicosi di questo genere.
A Leonà, ma non potevi imprimermi nella mente come fanno tutte le persone normali quando sono innamorate?
Mi dovevi proprio immortalare su tela!? Per carità, c'è chi venderebbe la propria madre per essere immortale, ma sfido chiunque a tenere questa posa per più di 2 ore, per non considerare l'affluenza di dottoroni muniti di riga e squadretta che tracciano sezioni auree, geometrie improbabili e miti sui possibili codici massonici nascosti nelle mie proporzioni. Rido, non posso fare altro, mica posso raccontare a tutti a cosa pensavi e le porcellate che dicevi mentre mi dipingevi, tranquillo saprò tenere il segreto, anche perchè solitamente i quadri non parlano.
Ora si spengono le luci, il museo sta chiudendo. Il gregge di voyeur si dirada a poco a poco, cala il finalmente silenzio.
Riesco finalmente a sentire lo scrosciare dalle acque della Val di Chiana, il dolce fruscio della natura che mi attornia;
In fin dei conti sono una donna gioconda e anche fortunata.
Che tu sia benedetto mio tenero amante, per aver legato in eterno il mio nome al tuo, nessun gioiello avrebbe comparato il valore di questo dono che tu hai fatto a me.
Distendo or lieta le braccia.

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